martedì 30 settembre 2008

Donne, Una Questione di Cuore

Donne. Donne che conquistano posizioni chiave in settori nevralgici della società, con una naturale autorevolezza. Primi ministri, ministri, sindaci, manager, imprenditrici, ricercatrici di livello mondiale. Il tutto senza mai perdere di vista il ruolo centrale all’interno del nucleo sociale elementare, quale è la famiglia.
E nella salute? Negli ultimi trent’anni vi è stato un poderoso sforzo della ricerca in tema di tumori coniugati al femminile, dal quale è discesa un’attenzione crescente alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura precoce. È pleonastico ricordare i successi ottenuti, in termini di riduzione della mortalità e dell’impatto psico-sociale, nel campo del cancro al seno, ad esempio. Ricercatori e clinici hanno saputo coniugare il perfezionamento dei risultati con una sempre più profonda attenzione al problema. Ciò ha determinato una diffusa sensibilizzazione e un costante incremento dei fondi disponibili per la ricerca.

E per le malattie di cuore?

Qui lo scenario cambia. Un appello a fare attenzione al problema delle malattie cardiovascolari nelle donne è arrivato anche dal presidente della Società Cardiologica, Roberto Ferrari, che ha rimproverato i colleghi di trascurare, spesso, la popolazione femminile, ritenendo le patologie legate al cuore appannaggio maschile. Stress, stili di vita errati, scarsa attenzione alle abitudini alimentari e ai fattori di rischio sono considerati, erroneamente, prerogativa degli uomini.

Invece, ha confermato Ferrari, le malattie cardiovascolari rappresentano oggi il killer numero uno anche per lei. Il ruolo sociale della donna è, infatti, profondamente cambiato. Per semplificare potremmo dire che le donne, nella loro tumultuosa scalata sociale, hanno “scalato” anche i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari tipici del mondo maschile. Con due aggravanti. La prima è la scarsa sensibilità di fronte a questo problema, sia da parte delle donne stesse, sia da parte della medicina in generale. La seconda è la poca considerazione della peculiarità fisiologica della donna, con particolare riferimento alle modificazioni del profilo ormonale. Mentre per gli uomini si punta la lente d’ingrandimento sulle malattie cardiovascolari, per le donne l'attenzione è quasi esclusivamente incentrata sulla prevenzione, diagnosi e cura delle neoplasie, anche in menopausa. “Concentrarsi sulle donne” , ribadisce Ferrari , “deve invece diventare una vera priorità della cardiologia moderna".

Quale l'incidenza delle malattie cardiovascolari nella popolazione femminile?

Pochi e semplici numeri sono sufficienti a dimostrare la serietà e gravità del problema. Nelle donne dopo i 50 anni di età, il 40-50 per cento delle morti è dovuto a malattie cardiovascolari, mentre meno del 20 per cento è legato a tutte le forme di tumore messe insieme. Il cancro al seno, che nella percezione comune è considerato il principale nemico, è responsabile di meno del 5 per cento delle morti.
Più in dettaglio, in Italia l’infarto acuto del miocardio uccide, da solo, circa 33.000 donne all’anno, il triplo del cancro al seno. Negli Stati Uniti muoiono per malattie cardiovascolari più donne che uomini. E i fattori di rischio? Dall’età della menopausa in poi, il 49 per cento delle donne è iperteso, il 38 per cento ha livelli di colesterolo elevati, il 33 per cento ha una sindrome metabolica, il 30 per cento è obeso, oltre il 10 per cento è diabetico.

Quali le azioni da intraprendere?

La Società Europea di Cardiologia sottolinea come “vi sia una forte disparità di genere nel trattamento e nella ricerca delle malattie cardiovascolari”. Una grave disattenzione, nei confronti di un vero allarme sociale. Che fare? Occorre prendere rapidamente coscienza dell’entità del problema e indirizzare gli sforzi nelle tre, decisive, direzioni: ricerca, prevenzione, cura.

Nella ricerca, indirizzando l'attenzione (e i fondi) verso l’identificazione dei filoni di rischio più caratterizzati al femminile, per la prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari (dalla molecola alla cellula, dal metabolismo alla fisiopatologia), e individuando profili psico-sociali per le diverse categorie di rischio cardiovascolare. Nella prevenzione, lanciando campagne di stratificazione del rischio cardiovascolare al femminile, per identificare, non solo i diversi profili di rischio, ma anche i contesti sociali che li determinano.

Nella cura, l'obiettivo finale e il più complesso, cominciando a ragionare in termini di “cura di genere”, personalizzando l’approccio terapeutico e valutando l’importanza dell’educazione sanitaria, associata alla terapia cardiologica, con metodiche di supporto non farmacologiche. La donna portatrice di rischio o di malattia cardiovascolare dovrebbe entrare in un sistema integrato multispecialistico in grado di allargare il classico orizzonte di diagnosi-cura e offrire invece un approccio personalizzato, dalla prevenzione di genere alla terapia più avanzata. Servono luoghi di cura che sappiano rendere il ricovero meno gravoso e guardare alla donna malata come un universo delicato, con un ruolo sociale determinante e una caratteristica unica, facile da definire con un termine che può apparire maschilista, ma non lo è. La femminilità.

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