lunedì 3 novembre 2008

VOTO USA, ULTIME MOSSE NELLA CAMPAGNA ELETTORALE

L'America vota e volta davvero pagina: quale ne sia l'esito, le elezioni che coronano domani la piu' lunga campagna nella storia dell'Unione porteranno un cambiamento nella piu' antica democrazia del Mondo Moderno, dopo gli otto anni della tormentata presidenza di George Bush.

In quest'alba di Terzo Millennio, gli Stati Uniti si sono scoperti vulnerabili sul proprio territorio al nuovo nemico, il terrorismo integralista: una sensazione di fragilita' che, prima dell'11 Settembre 2001, non avevano mai provato.

E poi la Super-Potenza Unica ha dovuto constatare che scelte unilaterali e non condivise sulla scena internazionale possono condurre a difficolta' militari e a smacchi politici, cosi' com'e' accaduto in Iraq e in Afghanistan, dove la guerra al terrorismo ha gia' fatto il doppio di vittime americane dell'11 Settembre. Sul fronte interno, la presidenza Bush ha fatto fatica a realizzare i propri programmi, dalla politica enegetica alla riforma dell'immigrazione, sperimentando forti scricchiolii del sistema economico e finanziario, con i crolli della Enron nel 2001 e della WorldCom nel 2002.

Ma la fine della presidenza e' da caduta degli dei: Bush se ne va con un tasso di popolarita' bassissimo (lui, che, dopo l'11 Settembre e l'attacco all'Afghanistan raggiunse il massimo di popolarita' di tutti i tempi, sopra il 90%) e lascia l'Unione nelle spire di una crisi finanziaria il cui impatto sull'economia reale e' ancora tutto da misurare. Logica e conseguente, negli elettori, la voglia di lasciarsi alle spalle un periodo di crisi e di dubbi, di ritrovare la fiducia e l'ottimismo che sono il biglietto da visita dell'America nel Mondo.

Sicurezza era stata la parola chiave del voto 2004, cambiamento e' stata quella del voto 2008. I due candidati, il repubblicano John McCain e il democratico Barack Obama, hanno entrambi cercato di calarsi nel ruolo di chi deve cambiare l'America. McCain partiva con l'handicap di essere un clone di Bush, se non altro perche' e' l'espressione del suo stesso partito; ma poteva vantare l'indipendenza di giudizio che lo ha sempre caratterizzato e ha speso ogni energia a dimostrare che con lui sara' un'America diversa. Obama aveva dalla sua il partito da otto anni escluso dalla casa Bianca, l'immagine, l'eta', lo slogan ('Change' era una sua divisa della prima ora).

Se vincesse il repubblicano McCain, sarebbe la prima volta alla Casa Bianca di un reduce del Vietnam, esponente d'una generazione che gli americani non amano perche' rammenta loro una sconfitta. Gli eroi del Vietnam, gli Stati Uniti li hanno finora avuti come presidenti solo al cinema, mentre alla Casa Bianca sono andati 'imboscati' come Bill Clinton e George Bush. E McCain potrebbe non farcela a emulare il Bill Pullman di Independence Day e l'Harrison Ford di AirForceOne.

Se vincera' il democratico Obama, sara' la prima volta di un nero alla Casa Bianca: un segnale davvero epocale, un risultato impensabile fino al XX Secolo, un traguardo d'integrazione che molti pensavano sarebbe stato raggiunto solo dopo avere visto alla presidenza una donna (bianca), cioe' Hillary Rodham Clinton. Fra Obama e McCain, i sondaggi non lasciano spazio al dubbio. Come spesso succede, gli americani, dentro una crisi che intacca la fiducia e che mina le certezze della Super-Potenza Unica gia' scosse dall'11 Settembre e dalle difficolta' militari, politiche ed economiche, fanno scelte radicali: se cambiamento ha da essere, lo sia profondo, anche nei simboli. Quel nero alla Casa Bianca non cancellera' un passato fatto anche di razzismo e di segregazionismo e un presente dove elementi d'intolleranza ancora emergono qua e la'. Ma diventera' un segnale di speranza e di entusiasmo forte per un Paese e una generazione: se ce l'ha fatta lui a diventare presidente, ce la possono fare milioni di individui, milioni di famiglie, intere comunita', bianchi o neri o ispanici, a trarsi d'impaccio dalla crisi e a ritrovare forza, prosperita', serenita'.

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